Come psicologa psicoterapeuta incontro ragazzi all’interno di uno sportello d’ascolto in una scuola secondaria di secondo grado e giovani pazienti nel mio studio.
La pandemia ha modificato le abitudini di tutti e come ogni esperienza anche quando sarà superata lascerà tracce nella storia individuale di chi l’ha vissuta.
L’emergenza sanitaria generata dalla diffusione del Covid-19 ha cambiato i ritmi quotidiani degli adolescenti, in una prima fase stravolgendoli e annullandoli: sveglia, colazione, tragitto verso la scuola, lezioni… e non solo anche il tempo libero: attività sportiva in gruppo, uscita con gli amici al parco vicino a casa o in centro o al fast food o al centro commerciale o nella piazza. La routine è diventata: sveglia all’ultimo, in pigiama a seguire le lezioni a distanza in DAD, isolamento. La notte fino a tardi con lo smartphone o al pc. Gli amici tramite le piattaforme online o WhatsApp o social network, la compagnia e stimolo a casa degli amati videogiochi, confinati in casa con la famiglia. Successivamente si è tornati gradatamente e con qualche incertezza ad una vita in presenza.
Con quali ricadute psicologiche?
E’ stato rotto un equilibrio e occorre tempo per costruirne uno nuovo, per ritornare ad una quotidianità dove ci si sente sicuri. L’adolescenza è un periodo di transizione dove si sperimenta il mondo esterno con maggior autonomia dalla famiglia ed è fondamentale per il proprio benessere integrarsi nel gruppo dei pari, compagni di scuola e/o amici del tempo libero.
Il processo è stato sospeso dalla pandemia per quei ragazzi che si stavano avvicinando al mondo fuori casa e a vivere con maggiore libertà i rapporti con i coetanei, mi riferisco in particolare agli alunni dei primi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, oppure gli adolescenti con maggiore fragilità (i bisogni educativi speciali e non solo) hanno trovato un ostacolo aggiuntivo alla loro integrazione.
Il ritiro sociale dalla vita di relazione con gli altri ragazzi e il rifugiarsi nei videogiochi può essere diventata una modalità rassicurante rispetto ad un esterno imprevedibile e pericoloso. La propria camera non ha insidie, la conosco e la controllo, da qui molte resistenze degli allievi al ritorno a scuola in presenza. Genitori, insegnati, educatori sono a volte spettatori impotenti di chiusure relazionali, apatia, irritabilità, sintomi ansiosi e/o depressivi, calo del rendimento scolastico, dipendenza da videogiochi. La paura della non accettazione da parte dei compagni in presenza e l’ansia delle lezioni a scuola, dove si è meno protetti dagli insegnanti, non c’è più lo schermo che ci separa, il timore di non essere all’altezza delle richieste della didattica caratterizzano la sindrome da rientro.
Come aiutare gli adolescenti?
Chi sta vicino ai ragazzi (familiari, insegnanti, educatori) cerca di aprire l’adolescente al dialogo, si pone in un ascolto emotivo dei suoi bisogni in modo non giudicante, cerca di rafforzare la fiducia nelle proprie potenzialità, la tolleranza all’errore (sbagliando si impara) e all’incertezza di questo periodo, sviluppare capacità di adattamento ai contesti e all’imprevisto, motivare all’incontro con l’altro dal vivo. Un messaggio di buon senso per gli adolescenti può essere che con il distanziamento sociale i videogiochi possono essere diventati un modo per passare il tempo libero da soli o giocando a distanza con amici o sconosciuti. Non deve essere però l’unico modo per divertirsi o socializzare dietro uno schermo. La vita è fuori! Anche se stiamo bene così, la vita è fuori, pur conservando anche una parte della nostra vita attuale dietro lo schermo.
Nel caso le difficoltà perdurino nel tempo e diventino un ostacolo alla partecipazione alla vita scolastica e/o sociale si può chiedere aiuto ad uno psicologo, per colloquiare i minorenni serve il consenso di entrambi i genitori.
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